Ho iniziato a scrivere questo blog post una domenica di gennaio e lo pubblico la prima settimana di luglio.
Meglio tardi che mai!
È un post a cui tengo molto perché mi permette di fare un bilancio riguardo la mia esperienza con la libera professione.
Che più che una professione, diciamolo, è uno stile di vita.
La domanda giusta
Spesso i miei studenti di interpretazione all’università, incerti su che strada intraprendere dopo la laurea, mi chiedono se l’interpretazione sia una scelta sostenibile dal punto di vista lavorativo, ovvero se sia possibile vivere di soli interpretariati.
La mia risposta è cambiata nel tempo, all’inizio era molto articolata: sì, è possibile ma meglio dedicarsi anche ad altre attività come la traduzione e l’insegnamento delle lingue, per esempio. Poi è diventata: insomma, tieni a mente che devi aggiornarti continuamente. E poi ancora: sì ma devi crearti un business plan perché altrimenti non ne esci, alla fine sei un’azienda a due gambe.
Oggi sono arrivata alla conclusione che le mie sono sempre state tutte risposte a metà e che, soprattutto, la domanda a monte era sbagliata.
Se si vuole intraprendere la carriera dell’interprete e lavorare nel mercato privato, la domanda giusta, da porre a sé stessi, è:
La libera professione fa per me?
The big picture
Sono freelance da otto anni ma solo nel corso degli ultimi due sono riuscita a guardare con onestà al quadro complessivo della mia attività – la famosa big picture – senza aver paura di chiamare le cose con il loro nome né sentirmi meno professionale per questo. Ma soprattutto ad ammettere che la mia scelta lavorativa implica sia dei pros che dei cons.
Ci è voluto del tempo per accettarlo ma, d’altronde, i primi sono sempre anni di sperimentazione.
Anni di I still haven’t found what I’m looking for e di andare avanti un pò a tentoni, passando per varie fasi e cercando diverse soluzioni.
Fino ad arrivare ad oggi, quando, senza remore, posso stilare la lista di ciò che mi piace e anche di ciò che non mi piace della libera professione.
Ahí vamos.
Mi piace
- La libertà di poter creare dei progetti cuciti su misura in base ai miei gusti ed esigenze
- Non avere un capo
- Non avere orari di lavoro imposti da nessuno
- La libertà di poter lavorare dove voglio e con chi voglio, alle mie condizioni
- La libertà di poter andare in vacanza quando e per quanto lo decido io
- L’opportunità di mettere a frutto i miei talenti e le mie passioni.
- Fare sempre qualcosa di diverso e conoscere sempre gente nuova
- La soddisfazione di creare tutto da sola
- I riconoscimenti diretti che arrivano da parte di chi usufruisce dei miei servizi
- La possibilità di diversificare le attività a mio piacere
Non mi piace
- lavorare spesso a casa
- l’instabilità economica – e talvolta di vita
- non godere delle tutele previdenziali da dipendente (malattia, maternità, aspettativa, tredicesima, etc.)
- i periodi di solitudine trascorsi a lavorare senza un collega di scrivania accanto
- la difficoltà di staccare la spina e di conseguenza il rischio di incorrere in burn out più elevato rispetto a coloro che hanno un lavoro da dipendente (e una volta finito l’orario prestabilito se ne vanno a casa lasciando il lavoro in ufficio).
- i periodi in cui ti senti stanca, sconfitta, lenta ma devi andare avanti perché se non produci non fatturi.
- le tasse.
Morale della favola
Quando otto anni fa ho preso la decisione di aprire la partita iva è avvenuto tutto in maniera un pò trafelata. Un regime fiscale molto vantaggioso stava per essere abolito e mi sono ritrovata a dover scegliere su due piedi se salire su quel treno oppure no. Sono salita.
Ero più giovane, avevo meno responsabilità, alcuni pilastri importanti nella mia vita erano ancora in piedi e, soprattutto, ero molto entusiasta e piena di aspettative.
Poi succede che pian piano ti rendi conto che non è tutto esattamente come ti eri immaginata e che, sebbene sia bellissimo non avere un capo e poter andare in vacanza quando vuoi, esiste anche il rovescio della medaglia.
Ma non è questo il punto. Né se lo rifarei o meno.
È chiaro che ciò che mi piace e ciò che non mi piace della libera professione sono due facce della stessa medaglia, come Harry Potter e Lord Voldermort: se non esiste uno non può esistere neanche l’altro.
Fin qui ci siamo.
Il punto è che io ho maturato delle consapevolezze importanti.
Intanto che le cose che non mi piacciono, alcune almeno, posso cambiarle e non sono costretta a subirle.
Posso certamente decidere di andare a lavorare in un co-working piuttosto che stare a casa da sola se devo lavorare online, per esempio.
Ma soprattutto, cosa ben più importante, posso anche scegliere di cambiare rotta se lo desidero.
Un giorno, per esempio, potrei decidere di aprire una scuola di lingue, buttarmi nel turismo oppure trasferirmi a Bali e vendere cocktail di frutta tradizionale.
Potrei anche non voler più svolgere la libera professione e iniziare a lavorare come dipendente.
E non ci sarebbe niente di male. Siamo in continua evoluzione e le nostre necessità cambiano costantemente. Cambiamo noi, cambiano i tempi, il mondo intorno e anche i nostri sogni. Li possiamo ripensare, rimodellare, ricostruire da zero. Non ha senso stare aggrappati a ciò che ci rendeva felici ieri se oggi siamo diversi.
Anni fa non mi sarei mai permessa neanche di pensare tutto questo. Erano troppe le aspettative, l’entusiasmo. Avevo investito troppo nel mio sogno professionale per ammettere che, una volta realizzato e calato nella realtà, non era poi così lucente e perfetto. E che magari qualcosa andava rivista, riassestata e adattata ai miei bisogni reali.
Concedermelo oggi mi regala una leggerezza nuova e spiana difronte a me infinite possibilità.
Che hanno il sapore di libertà.
E tu, a che punto sei nel processo di maturazione delle consapevolezze relative alla tua attività professionale? Raccontamelo nei commenti se ti va!
Ciao Stefania, quanta onestà in questo post, grazie per averlo condiviso con noi! Da persona che ha lavorato sia come dipendente sia come libera professionista, ti posso dire che una persona dipendente avrebbe una lista – con anche un sacco di contro – proprio come la tua, che probabilmente cambierebbe a seconda del momento della vita in cui venga scritta. Le capacità acquisite da dipendente aiutano nella libera professione e viceversa che non sono due ambiti così contrapposti ed escludenti come spesso pensiamo, quindi brindiamo (con un cocktail di frutta a Bali, magari?) alla possibilità di cambiare, senza sapore di sconfitta, ma solo con la consapevolezza di fare ciò che è meglio per noi e per le persone di cui ci prendiamo cura!
Grazie Chiara per il tuo contributo!
Concordo sul fatto che non esista una scelta giusta o sbagliata ma solo quella che fa al caso nostro;)